Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Ordinanza 14 agosto 2020 n. 17183
Fino a quando i genitori debbono mantenere il figlio divenuto maggiorenne? Con una recentissima Ordinanza la Cassazione ha stabilito che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con onere della prova a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni.
La sentenza prende le mosse dall' art. 337- septies c.c., comma 1, che prevede che il giudice "valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico".
Due elementi della norma saltano agli occhi: 1) per ottenere il mantenimento il figlio non deve essere "indipendente economicamente" e 2) il giudice discrezionalmente "può", disporre, ma certamente non deve. Si tratta, dunque, di un tipico giudizio rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito. Infatti la valutazione delle circostanze, che giustificano il permanere dell'obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o no con i genitori o con uno d'essi, va effettuata dal giudice del merito caso per caso (Cass. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. 6 aprile 1993 n. 4108, in tema di assegnazione della casa coniugale per convivenza con i figli maggiorenni; si veda pure Cass. 12 marzo 2018, n. 5883).
Il relativo accertamento si deve ispirare a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle occupazioni ed al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il medesimo abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari (Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830).
E' stato puntualizzato, inoltre, come la valutazione debba necessariamente essere condotta con "rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all'età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura" (Cass. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. 7 luglio 2004, n. 12477) e che, oltre tali "ragionevoli limiti", l'assistenza economica protratta ad infinitum "potrebbe finire col risolversi in forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani" (Cass. 6 aprile 1993 n. 4108, in motivazione, in tema di assegnazione della casa coniugale per convivenza con i figli maggiorenni; concetto ripreso es. da Cass.22.06.2016, n. 12952).
Infine è stato ribadito che sussiste solo "il diritto del figlio all'interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, "tenendo conto (e, a norma dei novellati art. 147 c.c. e art. 315-bis c.c., comma 1, "nel rispetto...") delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, com'è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione".
Dunque, ha concluso la Corte, "la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell'obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società" (Cass. 20 agosto 2014, n. 18076; nonchè Cass. 22 giugno 2016, n. 12952).
Peraltro "l'obbligo di mantenimento non può essere correlato esclusivamente al mancato rinvenimento di un'occupazione del tutto coerente con il percorso di studi o di conseguimento di competenze professionali o tecniche prescelto. Sotto questo profilo la crisi occupazionale giovanile conserva un'incidenza nel senso di dare al parametro dell'adeguatezza un carattere relativo sia in ordine al contenuto dell'attività lavorativa che del livello reddituale conseguente. L'attesa o il rifiuto di occupazioni non perfettamente corrispondenti alle aspettative possono costituire, se non giustificati, indici di comportamenti inerziali non incolpevoli" (Cass. 22 giugno 2016, n. 12952).
Il principio dell’autoresponsabilità" ha fatto ampio ingresso nel nostro ordinamento, anche in presenza di un diritto che chieda di essere affermato, ed, anzi, proprio per rendere ragionevole e "sostenibile" qualsiasi diritto. La pienezza della scelta esistenziale personale deve pur fare i conti nel bilanciamento con le libertà e diritti altrui di pari dignità.
Ciò vuol dire che, trascorso un lasso di tempo sufficiente dopo il conseguimento di un titolo di studio, non potrà più affermarsi il diritto del figlio ad essere mantenuto: il diritto non sussiste, cioè, certamente dopo che, raggiunta la maggiore età, sia altresì trascorso un ulteriore lasso di tempo, dopo il conseguimento dello specifico titolo di studio in considerazione (diploma superiore, laurea triennale, laurea quinquennale, ecc.), che possa ritenersi idoneo a procurare un qualche lavoro, dovendo essere riconosciuto al figlio il diritto di godere di un lasso di tempo per inserirsi nel mondo del lavoro.
Avv. Angelo Coccìa
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